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Immagine del redattoreMartina Rifici

Il mio percorso




Il tempo e la passione sono due amici. Uno trasforma le cose, l’altra decide in cosa verranno trasformate. La mia passione per il disegno è sempre stata una compagna fedele, già da bambina. Mi piaceva disegnare tutto ciò che vedevo, non importava cosa. Quello che contava erano il foglio, la matita e tanta voglia di trasformare un’idea in qualcosa di reale. Iniziavo a crescere e alle scuole medie mi sono appassionata all’arte e ai quadri. Mi piaceva disegnare i paesaggi o cercare di replicare le opere d’arte viste sui libri con le mie mani (tutto tranne la natura morta, quella la odiavo). Mi sono anche cimentata nel disegno tecnico, un approccio privo di emozioni e creatività. Come è andata? Fortunatamente c’era mia madre che li faceva al posto mio.

Dopo le medie pensavo di iscrivermi al Liceo Artistico, lo stesso di mia madre. Dopo averci parlato, alla fine mi sono iscritta a quello Classico. Purtroppo questo ha comportato un allontanamento dal disegno pratico. Le sole lezioni teoriche di Storia dell’Arte non erano abbastanza. Finito il Liceo, inizia il mio percorso universitario. Mi mancava tanto disegnare e ancora una volta mi ritrovavo a dover scegliere per il mio futuro. Che facoltà universitaria mi avrebbe permesso di iniziare nuovamente a cullare la mia passione? Ho pensato di fare grafica all’Istituto Europeo di Design, che però era privato. L’unico compromesso abbastanza vicino era la facoltà di Architettura alla Sapienza. Una volta iscritta ho iniziato a concentrarmi su progetti e lavorare su programmi, ma le materie scientifiche non mi piacevano. Più passava il tempo e più capivo che non era solo disegnare che mi mancava. Quello che desideravo era creare un qualcosa di mio, che venisse fuori dalla mia testa. Volevo realizzare i miei prodotti e mostrarli al mondo.

Nonostante questo non fosse inerente all’Architettura, ormai dovevo portare a termine gli studi. Ancora una volta ho accantonato ciò che volevo per ciò che dovevo fare, come con il disegno al Liceo. Alla fine di questo viaggio travagliato arriva il momento della Tesi di Laurea. E’ proprio qui che, forse, la passione che era in me ha preso il sopravvento. La tesi era sul progetto di un palazzo al Parco dell’Appia Antica, suddiviso in più tavole e sezioni. Avevo preparato tutto: piante, prospetti, arredamento. Persino il render in 3D. Ma ciò su cui ho davvero lavorato, anche se non cruciale ai fini della tesi, è stato il disegno. Tutte quelle tavole le ho illustrate, aggiungendo texture sulle piante e alberi disegnati a mano tutto in stile fumettistico, bianco e nero. Ho disegnato anche la copertina.

Nel progetto c'era una grande parete con un muro a strapiombo sul parco. Era il momento di liberare la mia creatività e di far vedere a qualcuno ciò che mi piaceva fare realmente. Su quel muro, ho illustrato con un grande murales una bambina che correva felice tra le casette. (Chissà che non fosse la stessa bambina che ha sempre amato disegnare e ora poteva farlo) Dopo aver consegnato la tesi ho ricevuto tanti complimenti. Sia per il progetto che per le illustrazioni. Questo mi ha resa molto felice e orgogliosa. Per la prima volta, dopo aver gridato al mondo quale fosse la mia passione, sentivo che questa poteva diventare un lavoro. Qui inizia il mio percorso da illustratrice. Avevo già un mio stile, ma mi sono applicata al meglio per migliorarlo (la prima cosa che ho fatto è stata chiedere un IPAD come regalo). Riflettendo con le persone importanti per me, ho valutato l’idea di portare le mie illustrazioni sulla pelle. Così sono stata spinta a fare il corso per iniziare a tatuare e successivamente ho preso l’attestato nel 2017. Negli anni successivi ho disegnato tante illustrazioni, ho fatto ritratti e riportavo su quaderni e oggettini le mie idee grafiche. Ho iniziato a farmi conoscere su Instagram. Qualche tempo dopo ho ricevuto la chiamata di Serena (che già seguivo) e ho iniziato un apprendistato di 6 mesi nel suo studio. Qui sono arrivate le prime vere difficoltà. Ora che tutto era diventato così reale, non riuscivo a trovare il coraggio di scrivere sulla pelle di altre persone. L’idea di poter sbagliare e rovinare permanentemente la pelle di qualcuno mi terrorizzava. Sono una persona ansiosa e per il tatuaggio serve tanta pratica. Due ingredienti pericolosi da usare nella stessa ricetta. Se da un lato tutto faceva paura, dall’altro la voglia di esprimere la mia arte era tanta. Mi sentivo come sulle montagne russe. Ho avuto diversi periodi in cui mi sono fermata. Mi domandavo se veramente fossi in grado di fare questo lavoro, anche dal punto di vista mentale. Questa professione implica una grande responsabilità verso le persone, ma anche un profondo legame che, per mie condizioni, avevo difficoltà ad affrontare. Tutta questa socialità forse era troppo per me (ed ecco perché preferisco esprimermi con i disegni piuttosto che con le parole).

Di fronte a questa, ennesima, grande domanda ho avuto un distacco da tutto e tutti per un mese. Volevo e dovevo capire cosa fare e in questo la psicoterapia ha avuto un ruolo fondamentale. Ho iniziato a darmi delle risposte. Ho capito che volevo fare questo lavoro, ma non limitarmi solo a questo. Volevo creare, illustrare la realtà attraverso il filtro dei miei occhi. E rappresentandola volevo lasciare un segno. Dove lasciarlo non doveva rappresentare un ostacolo.

Tanti lati professionali fanno a botte con il mio modo d’essere. Per esempio, come poter tatuare senza essere vista ed avere rapporti sociali? Per questo ho iniziato a lavorare tanto su me stessa (e lo faccio ancora oggi).

Presa la mia decisione sono tornata e ho iniziato a tatuare i flash già fatti. Le persone li sceglievano e poi gli davano un senso. Quando poi mi hanno iniziato a chiedere delle cose personalizzate, il mio lavoro ha iniziato ad assumere un altro significato. Dovevo rappresentare a tutti gli effetti la realtà con il mio filtro, ascoltando le loro parole e trasformandole in “illustraggi”.

Questo mi ha gratificata, responsabilizzata, ma soprattutto cambiata: finalmente riuscivo a creare con i miei clienti quel rapporto che tanto mi spaventava, basato sul conoscersi, capirsi e diventare empatici. Anche per questa evoluzione la terapia è stata cruciale. Sono riuscita a sviscerare (e lo faccio ancora oggi) tutte le emozioni che tenevo nella pancia e racchiudevo sotto il nome di ANSIA. In realtà erano solo emozioni, tante emozioni (forse anche troppe) che non sapevo riconoscere.

Lavorando su di me, ho iniziato a conoscere meglio gli altri. E qui inizia il mio “successo”. Dopo aver letto “L’atlante delle emozioni umane”, ho iniziato a rappresentare quelle contenute nel libro.

Anche questo ha contribuito a far arrivare sempre più persone a chiedermi di rappresentare le loro storie. Ho iniziato a conoscerne tantissime e a sentirmi sempre meno sola in questo mare di sensazioni.

Questa è stata la spinta definitiva che mi ha lanciato sulla strada del tatuaggio, facendolo diventare la mia vera professione. Ora quando tatuo sono felice. Nonostante tutte le difficoltà che vi ho raccontato e che tutt’ora sto affrontando (e che vorrei affrontare con voi nei prossimi spazi di questa rubrica), il tatuaggio rappresenta l’ultima tappa del lavoro. Amo ascoltare le persone e le loro storie, ancora prima di avere la certezza di illustrarle sulla loro pelle. E’ bello e gratificante creare la vostra storia con un disegno, cercare la reazione nei vostri occhi mentre lo vedete per la prima volta. Provare empatia verso così tante persone a volte è davvero faticoso, ma ne vale la pena. Per questo motivo non smetterò mai di dirvi grazie.



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